Ho finito la famiglia Karnowski e sono triste. E pensare che all’inizio, quel libro lì dalla copertina lilla non mi aveva mica tanto convinta. L’avevo comprato semplicemente perchè sono malata di saghe familiari, e da qualche parte avevo letto che era un ottimo libro. A dire la verità, credo di essere capitata sul sito giusto nel giorno giusto, perchè poi non ho mai più sentito parlare di quel libro. L’unica altra volta che qualcuno lo ha elogiato, è successo nell'istante famelico che precede sempre l'acquisto di un nuovo libro: il mio amore viscerale per la lettura si scontra sempre con il terrore di aver già speso tutti i miei soldi in libri. Poi ci penso, e i soldi non li ho finiti, sono sempre lì, sul conto corrente. Penso anche che dovrei smetterla di spendere tutti i miei soldi in libri, ed è una bella consapevolezza, un pò come quando mi dico che non dovrei bere il Negroni, perchè è troppo amaro, e sul momento mi sembra un’idea ragionevole, salvo poi ordinarne un secondo poco dopo.
Dicevo, la seconda volta che qualcuno ha elogiato la famiglia Karnowski è stato in libreria, mentre mi accingevo a pagare per quel libro bello esteticamente come sono belli tutti gli Adelphi. La libraia mi ha detto qualcosa che suonava come “lei ha tra le mani uno dei libri più belli del mondo, lo sa?”. Ora: io non so se la famiglia Karnowski sia uno dei libri più belli del mondo, dentro di me vivono tutta una serie di emozioni contrastanti; so solo che è stato un libro affascinante, un viaggio sgradito, a volte difficile e noioso, a volte incalzante, un vortice di colori, di odori, di bassezze e di ideali. Non so se sia il libro più bello al mondo, ma so che io l’ho amato, in qualche modo.
La famiglia Karnowksi è un pò i suoi personaggi, e un pò no. La famiglia Karnowski è un pò Polonia, un pò Germania e un pò America. La famiglia Karnowski è tutto e niente.
Ma andiamo con ordine.
La storia si snoda attraverso i suoi tre protagonisti, che a loro volta si snodano sulle vie tortuose di tre paesi e di tre epoche.
La narrazione inizia con il capostipite David Karnowski, che dalla Polonia di inizio Novecento se ne va in Germania, patria di ebrei eruditi, avanguardia della modernità. A Berlino nasce Georg, ragazzino ribelle che diventerà medico e sposerà una tedesca. Questo non li salverà dall’odio razziale: i Karnowski scappano in America prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Con loro ci va anche il figlio Jegor Karnowski, terzo e ultimo protagonista di questa saga.
Qualcuno ha scritto che l’unico personaggio degno di nota, in una storia in cui i personaggi non spiccano per caratterizzazione e guizzi, è Jegor Karnowski. Questo qualcuno ha ragione, e vi dirò perché: a mio parere, Israel Singer (fratello del più famoso Isaac Singer) ha fatto un ottimo lavoro nelle ultime pagine del libro, descrivendoci il dramma di Jegor, con i suoi conflitti interiori e il suo senso di inadeguatezza, in un climax di tensione che ha portato al finale. Si sentiva nell’aria che qualcosa stava per succedere, e questo è quello che fanno i buoni libri: ti fanno assaporare il momento. Prima di quel momento, però, il libro è stato piatto a tratti, interessante ad altri. Bellissimo lo scorcio sulla cultura ebraica, la descrizione minuziosa dei loro cibi tipici, delle loro usanze. Meno belli, invece, i personaggi di David e Georg, un pò troppo abbozzati e piatti, senza sentimenti, ma solo delle marionette che portano avanti i fili della storia.
Ultime due riflessioni che mi sento di fare: la prima, è che Israel Singer non è vissuto così a lungo per vedere gli effetti disastrosi che la Seconda Guerra Mondiale aveva portato con sé. Lo scrittore, morto prematuramente nel 1944, ha terminato la storia della famiglia Karnowski con l’approdo della stessa a New York. Lì, i Karnowski hanno familiarizzato con le usanze americane, ma hanno anche ritrovato una comunità ebraica molto diffusa sul territorio. Sono riusciti a scappare al delirio nazista, quando questo ancora si esprimeva “solamente” con le vetrine dei negozi frantumate e il divieto per gli ebrei di esercitare questa o quella professione. E’ come se il libro venisse troncato di netto. E’ questa la sensazione, magica, che mi ha dato. Un libro sospeso nella storia, immobilizzato nel tempo e incurante del futuro.
Seconda: la descrizione di New York. Appena sbarcano dalla nave che li ha portati oltreoceano, i Karnowski si imbattono in New York, una città calda, sudata, sporca, disordinata. Singer ce la descrive così: "Un implacabile sole cocente arroventava il porto di New York, da cui saliva un intenso odore di pesce, asfalto sciolto e frutta marcia. Le cime dei grattacieli risplendevano in un cielo di argento fuso. I torsi nudi degli scaricatori neri luccicavano. Ogni muscolo del petto e delle braccia guizzava sotto il sole e il sudore. L'asfalto molle per la calura tremava al passaggio degli immensi autocarri che avanzavano rombando, ansimanti tra nuvole di fumo e zaffate di benzina. Si sentiva il rumore sordo delle metropolitane soprelevate che correvano in lontananza. Le vibrazioni dei ponti risuonavano nelle orecchie. Facchini, passeggeri, marinai, impiegati del porto, poliziotti, telegrafisti, tassisti, frettolosi e sudati, si spintonavano, discutevano, gridavano, lanciavano pacchi e valigie. Ogni tanto dall'argine sudicio si alzava una brezza improvvisa, mulinava nell'afa, gettando polvere e cartacce sui volti madidi, poi spariva inopinatamente come era apparsa. L'umidità avvolgeva le persone come un asciugamano fradicio, si infilava in ogni piega e ogni ruga dei corpi stanchi. La famiglia Karnowski fu accolta da quell'aria appiccicosa, torrida, soffocante quando, dopo dieci giorni di traversata sul mare fresco, scese nel porto, brulicante e confuso.Le carte di sbarco verdi che tenevano in mano furono subito impregnate di sudore. La prima cosa che fece David Karnowski, il patriarca, fu lavarsi le mani a una fontana di pietra e recitare una benedizione per l'arrivo in quel paese dove Dio l'aveva condotto. Georg si tolse il cappello, con occhi scintillanti passò in rassegna la città, dalle torri splendenti fino all'asfalto fuso, poi con la punta delle scarpe batté sul suolo a più riprese, come per verificarne la solidità e assicurarsi che si trovava davvero lì. A un tratto, senza sapere perché, prese Teresa sottobraccio e si mise a camminare avanti e indietro con lei, una cosa che da tempo oltreoceano non faceva più. Nessuno prestava attenzione a quell'uomo dalla testa bruna a braccetto di una donna molto bionda dalla carnagione chiarissima. Il pensiero che qui non doveva temere di essere importunato dai teppisti solo perché passeggiava con la moglie lo colmò di una gioia immensa. <Teresa, questa è l'America!>."
Oserei dire che vale la pena di leggere questo libro solo per le descrizioni della Grande Mela, ma sarebbe troppo riduttivo: la Berlino del dopoguerra, il femminismo coraggioso e politico, Jegor Karnowski, Solomon Burak e il suo emporio itinerante, le sinagoghe. Una parte di me se n'è andata con loro, lì nel loro tempo, esitante e lontano, brulicante e disteso.
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