Anne Holt e le seconde chance: esperimento fallito
- Martina Nicelli
- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min

Per seguire le mode giovanili (e sentirmi estremamente vecchia), potrei dire senza alcun dubbio che Anne Holt è il mio malessere.
Che il problema sia mio non c’è dubbio: avevo già letto qualcosa della Holt in passato, e non mi era affatto piaciuto. Anzi, già all’epoca avevo trovato la lettura – peraltro, de L’unico figlio, ossia quello che tutti considerano il suo romanzo più riuscito – estremamente fastidiosa e pesante.
Eppure, nonostante la sofferenza, sono tornata da lei. Anche questa volta.
Anne Holt è una scrittrice norvegese molto apprezzata, in Scandinavia e nel resto del mondo. Giunta al suo secondo romanzo, anch’esso odiato, anch’esso faticoso, inizio a pensare di essere io quella limitata. Non si tratta di personaggi più o meno detestabili, e nemmeno della qualità della scrittura: è proprio che parliamo due lingue diverse, anche sulla carta.
Vorrei dire che ci ho capito qualcosa, o che, per un attimo, qualche passaggio della storia mi abbia fatta volare, ma mentirei. La verità è che ho impiegato tre mesi a terminare La paura e non ne è affatto valsa la pena.
La paura è ambientato principalmente tra Oslo e Bergen, il Natale è alle porte e la Vigilia si tinge di rosso. Il vescovo Eva Karin Lysgaard viene accoltellata in mezzo alla strada, una donna così amata e rispettata che diventa difficile trovare il movente. Per cercare di rendere il tutto più “chiaro” da Oslo viene chiamato il detective Yngvar Stubø anche perché di cadaveri ne vengono ritrovati più di uno...
Ho provato a interrogarmi sul senso di questo libro. Chiariamoci: non che tutte le storie debbano avere un senso. Il punto è che non è un buon poliziesco, non è un horror, non è niente, almeno che abbia un senso alto, che sia un libro ponte. Forse Anne Holt ha provato a mostrare molti tipi di paura (come quella di perdere un figlio, di sentirsi in pericolo, di aver perso l’amore), e da lì il titolo, ma la sua paura è rimasta solo su carta, non tocca il lettore. Infatti, questo titolo non ha senso: paura di cosa? Di omicidi ce ne sono, altrimenti non sarebbe un giallo, ma non scuotono niente, è come guardare il solito CSI Miami dopo cena, vedi il cadavere, magari se sei sensibile ti fa un po' senso, ma rimane lì.
La sensazione che ho provato leggendo i libri della scrittrice norvegese è che non sappia scavare a fondo e che le sue opere siano, in fondo, degli esercizi di stile. Prendi tanti (troppi) personaggi, metti insieme pezzi di storie totalmente sconnesse tra loro – che rimangono così anche sul finale, purtroppo – e buttaci dentro un movente da fanatismo religioso che, probabilmente, solamente a Dan Brown potrebbe fare invidia, e hai fatto La paura.
Anne Holt mostra la società norvegese dei primi anni 2000, in cui i tempi stanno cambiando, dove la crisi e gli impieghi “pubblici” non sono poi così diversi dai nostri e dove la discriminazione, seppur ben nascosta, regna sovrana. Sicuramente in questo romanzo la Holt ci ha messo qualcosa di personale, specialmente nella scelta dell’argomento principale: sicuramente, questo non lo rende un libro facile da maneggiare e, purtroppo, nemmeno particolarmente illuminato.
Capisco l’idea, ma la realizzazione è pessima: caotica, frammentaria, noiosa, esagerata.
Spero di essermi davvero arresa, questa volta.
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