top of page

Misery e la miseria umana: un capolavoro che non balla

Immagine del redattore: Martina NicelliMartina Nicelli

Misery - Stephen King -1987
Misery - Stephen King -1987

Con Misery, ho capito che era l’ora di prendersi una pausa da Stephen King.


E ho anche avuto la conferma che dei libri che non mi sono piaciuti non so (o non voglio) parlare: è come se non volessi accettare che possano esistere al mondo dei libri da classificare come brutti.

Anche perché il problema non è tanto la bellezza o meno come concetto astratto quanto, più che altro, la godibilità della storia. Misery è un romanzo generalmente amato, e io sinceramente non ho capito il perché.


Innanzitutto, l’ho trovato – scusami, Stephen, scusami tantissimo – un’ode alla crudeltà fine a sé stessa. Certe storie – come, spesso, lo sono quelle di King - sono intrise di realismo e di sofferenza, anche fisica. Ma queste descrizioni, visioni, sensazioni non si bastano mai da sole. Sono lo strumento che ci veicola ad altro, al vero senso della narrazione, non sono le protagoniste. E allora, a quel punto fanno solo ribrezzo. Non c’è nulla di godibile nel leggere – e nell’immaginarsi, perché nel farti vivere quello che racconta King è davvero insuperabile – di dita mozzate o ginocchia rotte a suon di bastonate, se questo non ha un fine. Qualcuno dirà che questi sono proprio i c.d. thriller psicologici, e potrebbe anche aver ragione: l'ho già detto che il problema sono io.


Punto secondo, dunque: qual è il vero senso di Misery? Se ne ha, uno, dopotutto, perché lo ammetto, a me è sfuggito. Ogni tanto mi capita di non vedere l’ora che un libro finisca, in quei casi mi succede ancora più spesso di sfogliare distrattamente le ultime cinquanta pagine, leggendo una frase qua e là, pur di portarlo a termine. A volte non le leggo nemmeno quelle cinquanta pagine, sia chiaro, ma con Misery ci ho provato, sono andata avanti a sfogliare e sfogliare, saltando intere pagine di descrizioni trite e ritrite soffermandomi su frasi qua e là che colpivano la mia attenzione anche se, per la verità, ho più sorvolato sulle parole che altro. Se questa è la fine che dovrebbe fare un libro di King beh, sono una peccatrice fatta e finita.


Poi, c’è il problema di quelli che io chiamo “libri scatola”, ossia quelli che, mentre li leggo, non mi fanno respirare, perché o troppo opprimenti o troppo complicati o troppo angoscianti. Sono tendenzialmente storie connotate da ambientazioni povere e da dialoghi serrati, oppure allo stesso modo da flussi di coscienza interminabili. Se il detto è che l’importante è che se ne parli beh, non mi basta che un libro susciti in me un sentimento – di qualunque tipo – per essere apprezzabile. Altra storia è l’angoscia accattivante, quella che ti conquista per il suo essere conturbante, e l’angoscia strascicata, lenta e spesso inutile. Ecco, indovinate in quale gara Misery si è classificata tra le prime posizioni.


Non mi sento di dire che Misery è un libraccio, è pur sempre scritto da uno che viene da un altro pianeta e, se non altro, almeno la prosa è rigenerante, melodiosa, chirurgica. Semplicemente, questa volta io e Stephen non ci siamo incontrati, e va bene così, anche le storie d’amore più solide hanno bisogno di scornarsi, ogni tanto.

5 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Commentaires


© 2023 by Design for Life.

Proudly created with Wix.com

bottom of page