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A Manningtree ci sono le streghe: il romanzo d’esordio di A.K. Blakemore

  • Immagine del redattore: Martina Nicelli
    Martina Nicelli
  • 9 apr
  • Tempo di lettura: 2 min

Le streghe di Manningtree - A.K. Blakemore - 2023
Le streghe di Manningtree - A.K. Blakemore - 2023

Sulla scia dell’entusiasmo per L’insaziabile, ho dovuto leggere anche Le streghe di Manningtree, romando d’esordio della scrittrice inglese A.K. Blakemore che, a quanto pare, ha conquistato nella sua breve esistenza ben più cuori di quanti il mio amato Tarare ne abbia mangiati nella sua altrettanto fugace vita.


Neanche a dirlo, Le streghe di Manningtree è un bel libro, la Blakemore ha quella penna che mi fa impazzire: cruda, chirurgica, cinica, coraggiosa (le famose “quattro c” della perfezione secondo Martina). Questo, stavolta, non è bastato però.


Sì, siamo nel 1600 in Inghilterra e sì, lo sanno tutti, in quel periodo si faceva grande scorpacciata di streghe. Questa storia è vecchia come il mondo, e se si vuole scrivere un romanzo che parla di questo, ahimè, bisogna essere un minimo originali. O, quantomeno, raccontare una storia che abbia un qualcosa di eccentrico, un particolare che, da solo, valga l’intero libro.


Il primo romanzo di A.K. Blakemore tutto questo non ce l’ha: è una storia lineare, già letta, che parla di caccia, repressione, violenze, soprusi, ignoranza, incantesimi, chiesa e inquisitori.


A Manningtree, una cittadina della contea dell’Essex privata dei suoi uomini fin dall’inizio della guerra, le donne sono abbandonate a loro stesse. In una casupola sulle colline abita la giovane Rebecca West, figlia della vedova Beldam West, entrambe vivono ai margini della società ed entrambe sono guardate con sospetto dagli altri concittadini. A scombussolare la quotidianità in città arriva Matthew Hopkins, il nuovo locandiere, che si mostra fin dal principio molto curioso e inizia a fare sempre più domande, soprattutto alle donne più umili e disgraziate. Il resto è storia, trattandosi, come dicevo, di un copione identico ai precedenti.


La verità è che il secondo romanzo dell’autrice mostra una maturità che, al contrario, Le streghe di Manningtree non ha. Il racconto si trascina, va troppo veloce in alcuni punti e in altri si perde in troppi particolari, in una eccessiva (e forse inutile) partecipazione di personaggi e delle loro storie, con il risultato di appesantire la lettura e non coinvolgere affatto il lettore. Pagina dopo pagina, ho immaginato quello che provava la mia professoressa di italiano del liceo quando correggeva i temi chilometrici ma ineccepibili che le propinavo: tutto perfetto, tutto dimenticabile.


Una delusione che probabilmente non avrei provato se lo avessi letto prima de L’insaziabile, libro che, di fatto, è entrato nella cerchia dei capolavori senza particolari difficoltà (lo avevo capito già a pagina 10, ma questa è un’altra storia che potete leggere qui); ero partita con grandi aspettative, ma piano piano si è rivelato un racconto piatto, a volte frettoloso e confusionario, sicuramente non originale. Peccato.

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