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L'insaziabile: storia di un appetito mostruoso

  • Immagine del redattore: Martina Nicelli
    Martina Nicelli
  • 29 gen
  • Tempo di lettura: 3 min

L'insaziabile - A.K. Blakemore - 2024
L'insaziabile - A.K. Blakemore - 2024

La famiglia Karnowski, i Buddenbrook, L’uomo di neve, Pet Semetary: sono romanzi che hanno segnato un punto fermo nella mia vita, tra quello che c’era prima e quello che, inevitabilmente, c’è dopo. Sono tutte storie decisamente diverse tra loro, tra famiglie di commercianti dell’Ottocento, tradizioni ebree e nuovi mondi, la Scandinavia con il suo gelo e le descrizioni affilate e il Maine e le leggende dei nativi. Eppure, un minimo comun denominatore c’è: la capacità (e, forse, la sfortuna) di essere una storia che, per me, vale qualcosa.


L’insaziabile ne è entrato a far parte senza alcuna difficoltà, ma non senza lasciare strascichi, insinuandosi nei pori della mia pelle come il vento delle mattine di gennaio. Creatura della scrittrice e poetessa inglese A.K. Blakemore (ha scritto anche Le streghe di Manningtree, gioiellino apparentemente più conosciuto rispetto a L’insaziabile, già nella mia libreria), L’insaziabile mi ha divorata. Era lui a leggere me, e non il contrario; lui a decidere i miei ritmi e le mie volontà, lui genitore onnisciente e io neonato.


La storia di Tarare – anzi, forse, più la leggenda di una creatura mitologica - è una delle più tragiche e grottesche mai immaginate, quella di un abbandono (dai genitori, dalla società, dall’affetto) che sfocia in una fame, appunto, insaziabile.


Tarare è di umili – anzi, umilissime – origini; cresciuto senza padre, la madre pur di guadagnare qualche soldo inizia a prostituirsi. Un giorno, il contrabbandiere che vive con loro (e che, alla fine, ruberà a Tarare l’unica figura a lui cara, ossia la madre) decide di cacciarlo. Qualcosa scatta nella mente di Tarare senza che neanche lui se ne accorga: l’abbandono, l’essere stato bandito dalla casa d’infanzia, crea un vuoto dentro di lui, un vuoto che non riesce a colmare. Viene travolto da una fame smisurata, un appetito insaziabile, privo di logica, mostruoso. Inizierà a vagare per la Francia, dapprima con un gruppo improponibile di banditi e perdigiorno, e poi solo, cercando di sopravvivere con l’unica dote che possiede: quella di ingurgitare tutto.


Solo al mondo, privo di qualsiasi scopo, costantemente attanagliato dalla fame, L’insaziabile è un romanzo di peregrinazione e appetito:


[…]” Il cittadino dottor Tissier dice che dovete mangiare o morirete “[…]

[…] “Mangiare…” Ripete, “mangiare o morire. Non è proprio da questo che nascono tutti i guai?”[…]


La fame e il cibo sono il motore di tutti i nostri pensieri. Siamo tristi? Mangiamo. Siamo felici? Mangiamo. Ci sentiamo soli, ignorati? Mangiamo. Vogliamo festeggiare un’occasione particolare? Invitiamo i nostri amici a cena. Tutti i traumi passano per lo stomaco, sia per ingurgitarlo sia per rigettarlo.


Con L’insaziabile, A. K. Blackmore mette in scena la spietata crudeltà delle miserie della Francia di fine Settecento. La popolazione francese dell’epoca moriva di fame. In parallelo, l’estenuante ricerca alimentare di Tarare dimostra come l’essere umano cerchi sempre un modo per sopravvivere.


Blackmore ha uno stile ricercato, forse un po’ troppo denso, ma volto a farci immaginare una sensazione precisa, grazie a una consapevole e minuziosa scelta delle parole. Il ritmo è vivido, non veloce, ma cadenzato, con periodi lunghi che accrescono l’inquietudine.


Mi sento di consigliare questo libro agli amanti dei romanzi sopra le righe, grotteschi e particolari ma, soprattutto, agli stomaci forti (a proposito di cibo). Alcuni passaggi non lasciano indifferenti, ed è anche questo il bello di questo romanzo: la miseria umana - neanche quella più torbida, più quotidiana, più intima - non va raccontata con delicatezza. Non dimenticherò mai la scena in cui Tarare, affamato all’inverosimile, si abbuffa di scarti di interiora nel retrobottega di un macellaio, pezzi ritenuti immangiabili e disgustosi e, per questo, destinati ai cani. Al solo pensiero, mi si attorciglia ancora lo stomaco.

 

 

 

 

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