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Favole per adulti: tutti i difetti de Gli ultimi giorni dei nostri padri

Immagine del redattore: Martina NicelliMartina Nicelli

Aggiornamento: 5 gen


Gli ultimi giorni dei nostri padri - Joël Dicker - 2010
Gli ultimi giorni dei nostri padri - Joël Dicker - 2010

Premessa: per anni ho pensato che La verità sul caso Harry Quebert fosse uno dei miei libri preferiti. Poi, dopo aver letto, tempo dopo, Il libro dei Baltimore e, recentemente, Gli ultimi giorni dei nostri padri, romanzo d’esordio di Joël Dicker, ho riflettuto sugli errori passati (dall’aver scelto la facoltà sbagliata ad aver deciso di andare a correre nonostante la pioggia e ritrovarmi ora con un raffreddore che è preludio di morte) ed ho capito che, forse, l’essermi approcciata al libro più famoso di Dicker durante gli anni della adolescenza ha aiutato. Nel farmelo apprezzare, ovviamente.

 

Non è che Dicker non sia bravo a raccontare storie. Lo è sicuramente. Ma ti inganna e poi, soprattutto, è furbo. Pensa di poterti fregare, raccontandoti la favoletta della buonanotte e sperando che, così, tutte le linee si intreccino e alla fine i problemi di trama e di rapporti e struttura dei personaggi si risolvano magicamente: il pubblico è soddisfatto, tutti a casa.

 

Purtroppo delle stonature ci sono, e sono anche evidenti. E, ripeto, lo dico con le lacrime agli occhi, perché Dicker è, un po' come la Rowling, uno dei pilastri della mia adolescenza, e scoprire che anche lui ha dei difetti è stato un po' come rendersi conto che i propri genitori stanno invecchiando, che la vita scorre inesorabile e tutte quelle altre verità scomode e un po' patetiche di cui ai trentenni piace tanto parlare.

 

La quarta di copertina ci dice che siamo a Londra, nel 1940 nel pieno del secondo conflitto bellico, dove Churchill fonda la SOE, ossia una squadra di servizi segreti incaricata di azioni di sabotaggio e intelligence. I protagonisti del romanzo sono, appunto, agenti in erba del SOE, che tra durissimi addestramenti e privazioni intrecciano legami destinati a durare nel tempo. Sembrano gli ingredienti perfetti per un libro scritto appositamente per me: ambientazione storica, dinamica di gruppo, tormenti e malinconie.


Ecco perché dico che Dicker è bravo a mentire (o, forse, lo sono stati quelli che hanno voluto venderci il suo romanzo a tutti i costi). Tutto questo esiste, non posso negarlo, ma sembra stare sullo sfondo. Il problema vero è che, se tutto questo sta sullo sfondo, cosa c’è in primo piano? Nemmeno questo si capisce. Qual è la vera storia?

 

Per carità, io sono la regina dei libri-senza-trame, li amo da impazzire, mi aiutano a sentirmi meno sola in un mondo di ingegneri coi piedi ben piantati a terra. Ma il problema è che qui manca proprio tutto: dei personaggi convincenti, innanzitutto. Del realismo, e caro Joel, non basta qualche morte a rendere tutto più vero.

 

Vi faccio un esempio: Pal – ossia, il ragazzo che sembra essere il protagonista. Dico sembra, perché nemmeno questo si capisce particolarmente, alla fine – è uno di quei personaggi del tutto bidimensionali, e a nulla vale il maldestro tentativo di Dicker di fargli assumere, ad un certo punto, connotati da bad boy. Pal è un tipo "buono, gentile, simpatico". E’ speciale, è un pasticcino alla crema: lo pensano tutti i suoi commilitoni, eppure se devo dirvi che ho capito il perché, vi mentirei. Non fa davvero nulla di speciale nel corso del libro, ma nulla nulla, per essere un tipo "buono, gentile, simpatico".

 

Le relazioni tra i personaggi sono descritte in maniera elementare, anche qui bidimensionale. Tutti sono grandi amici, se anche c’è qualche screzio, sicuramente si risolverà, il lettore lo sa. Gli amori sono assoluti e indissolubili, le aspirazioni grandi e inattaccabili, anche le tecniche di guerra o i movimenti politici sembrano del tutto campati per aria. Gli ultimi giorni dei nostri padri è una favola per adulti, punto. Prendere o lasciare.

 

L’unico peccato è il titolo, davvero sprecato per un libro così dimenticabile. Qualcuno direbbe che ho addirittura un fetish per i titoli, e avrebbe sicuramente ragione. Purtroppo, spesso i titoli che valgono un’intera lettura sono, alla fine, quello che sono: solo titoli. Mi ha fatto subito pensare a una storia straziante, a un confronto tra generazioni, a quei legami terreni inspiegabili che si chiamano alberi genealogici le cui storie, in un contesto come quello bellico, vengono spesso spezzate, così come i cuori di noi lettori. Povera illusa.

 

 

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