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Lidia Poët: la storia della prima avvocata italiana e la (rivedibile) serie tv

Immagine del redattore: Martina NicelliMartina Nicelli

Aggiornamento: 5 gen

Articolo scritto in collaborazione con Bossy - Beyond Stereotypes e pubblicato in data 12 gennaio 2024: https://www.bossy.it/lidia-poet-la-storia-della-prima-avvocata-italiana-e-la-rivedibile-serie-tv.html


Solitamente sono quella persona alla quale vengono chiesti consigli di lettura. E come dare torto ad amicə, colleghə e conoscenti? Ce l’ho persino tatuato, un libro. Sono poi riuscita a fare una tesi di laurea avente come oggetto la letteratura (il punto è che ho studiato Giurisprudenza; non so se si percepisce la disperazione del mio relatore, ancora oggi dopo diversi anni) e posseggo innumerevoli volumi, tanto che Ikea dovrebbe farmi un monumento alla dedizione. Hai bisogno di un suggerimento su gialli nordici o sulle saghe familiari? Eccomi qui. Sei unə fan del fantasy? Non c’è problema, posso consigliarti anche in quel campo. Ultimamente sei in fissa anche tu con Stephen King? Vieni qui, compagnә!


L’essere una incallita lettrice non mi ha mai permesso di apprezzare le serie tv fino in fondo. So che nove persone su dieci passano le loro serate incollate sulle piattaforme di streaming con abbonamento, a ingurgitare una puntata dietro l’altra: ecco, ammiro molto la loro capacità di sapersi adeguare al mondo esterno. Il mio problema è sempre stato che mi stufo facilmente, dopo un paio di episodi provo una noia indicibile e finisco sempre col gettare la spugna. Qualche eccezione c’è stata, ovviamente, ma si contano sulle dita di una mano. Questi sono i motivi per i quali, in effetti, non sono proprio la persona più adatta a dare consigli sulle serie tv.


Ecco perché, a dire il vero, non vorrei dare consigli proprio a nessunə, ma semplicemente parlare di una serie tv (l’unica degli ultimi mesi) che ho visto e che, nel bene o nel male (più nel male) mi ha colpita. Perché ho scelto di guardare proprio questa, nel mare magnum di serie tv che le centinaia di piattaforme offrono? Perché dovrebbe raccontare la storia di Lidia Poët. Tutti dovremmo conoscere la sua biografia e, da neo-avvocata, è quasi un obbligo. Lidia Poët fu la prima donna ad entrare, nel 1919, nell’Ordine degli Avvocati in Italia: la professione fino a quel momento era riservata soltanto al mondo maschile. Già questo è un dato che, sebbene conosciuto ai più, non deve essere tralasciato come se, tutto sommato, ormai fosse notizia conosciuta.


Dopo la laurea con il massimo dei voti nel 1881 alla Facoltà di Legge a Torino, con una tesi sulla condizione femminile e il diritto di voto, Lidia Poët svolse per due anni la pratica forense, un passaggio indispensabile per sottoporsi agli esami da procuratore legale e, dopo aver superato con successo anche quest’ultimo step formativo, chiese formalmente l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e dei Procuratori Legali. Nel 1883 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino votò con otto voti a favore e quattro contrari la risoluzione ad iscrivere la dottoressa Lidia Poët, la prima donna in Italia, all’albo degli avvocati patrocinanti. È opportuno sottolineare che la legge professionale dell’epoca non impediva, né proibiva, l’esercizio della professione forense ad una donna, eppure non tardarono a diffondersi alcuni articoli o testi, di natura polemica e prettamente sessista, contro la presenza di una donna nell’albo professionale. La Corte d’Appello di Torino, probabilmente mossa dall’opinione popolare, propose di annullare l’iscrizione all’Albo degli Avvocati della dottoressa Poët, adducendo come unica motivazione plausibile quella secondo la quale la professione forense dovesse essere qualificata come un ufficio pubblico e dunque, in quanto tale, vietato alle donne.


Quanto si afferma lo si può leggere proprio nell’estratto della pronuncia della Corte d’Appello di Torino. Nonostante l’opinione pubblica fosse divisa tra sostenitori e detrattori, la Corte di Cassazione confermò la pronuncia della Corte d’Appello impedendo, di fatto, il libero accesso alla professione da parte dell’avvocata Poët. Le tesi di coloro che si opposero all’esercizio della professione femminile furono sostanzialmente due: innanzitutto, le donne avevano il ciclo mestruale. Impossibile pensare che, durante quei giorni, queste potessero esercitare la professione con giudizio e serenità. La seconda ragione, connessa alla condizione giuridica della donna ai tempi, non le permetteva di godere della parità di diritti rispetto agli uomini (si pensi al fatto che le donne non potevano ricoprire il ruolo di testimoni nei procedimenti giudiziari).


La vicenda dell’avvocata Poët fece smuovere qualcosa: i movimenti femministi dell’epoca insorsero, ma non solo. Anche un noto professionista torinese dei tempi (l’avvocato Santoni De Sio) e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia si prodigarono, tra gli altri, per difendere il diritto negato all’avvocata.


Sebbene la Corte di Cassazione le impedì formalmente di patrocinare, l’amore per la legge spinse comunque la dottoressa Lidia Poët a continuare ad interessarsi alla professione, proseguendo l’attività, seppur in maniera informale, all’interno dello studio legale del fratello. Dal 1883, data di cancellazione dall’Albo professionale, fino al 1919, anno di approvazione della Legge Sacchi (che autorizzava ufficialmente le donne ad entrare a far parte dei pubblici uffici, eccezion fatta per la magistratura, la politica e i settori militari), all’avvocata Lidia Poët non fu consentita la possibilità di recarsi in Tribunale. Nel 1920, all’età di 65 anni, Lidia Poët poté finalmente presentare una nuova domanda di iscrizione all’Ordine degli Avvocati che, in questo caso, fu accolta favorevolmente; la prima avvocata italiana divenne anche la presidente del Comitato italiano pro-voto alle donne.


Non avrei potuto non guardare la serie dedicata all’avvocata, dal titolo La Legge di Lidia Poët e interpretata da Matilda De Angelis. Come anticipato, non sono un’esperta di serie tv, ma ci avevo creduto. Avevo pensato potesse essere ‘la serie’, quella che mi avrebbe fatto cambiare idea, che mi avrebbe fatto divorare gli episodi e – finalmente – apprezzare un prodotto del piccolo schermo. Niente di più sbagliato; e la delusione è stata doppia, considerata la mia dedizione (anche professionale) alla figura di Poët e il fatto che questa è, in teoria, la prima grande serie italiana prodotta da Netflix.

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