La salute mentale non è una cosa da uomini: dagli scontri televisivi al Movember
- Martina Nicelli
- 22 lug 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Articolo scritto in collaborazione con Bossy - Beyond Stereotypes e pubblicato in data 22 luglio 2024: https://www.bossy.it/la-salute-mentale-non-e-una-cosa-da-uomini-dagli-scontri-televisivi-al-movember.html
In macchina mi piace ascoltare la radio, e per radio intendo che mi piace ascoltare la musica. Sì, sono una di quelle che appena sente lə speaker di turno fare la solita chiamata aə lavoratorə di rientro o trasmettere i messaggi vocali della creatura che sta andando a scuola, cambia stazione. Ma, più di tutto, odio le pubblicità. Matematico che le mie dita si muovano, quasi automaticamente, verso il display e scelgano un’altra radio. Al mattino il tragitto verso la stazione della metropolitana più vicina è una tortura: una pubblicità dietro l’altra, dai detersivi alle auto, dal fast food appena aperto che deve farsi conoscere alla fiera di oggettistica della zona. Non mi capacito quindi di come, una mattina, stessi ascoltando spot pubblicitari in radio. Forse ero particolarmente assonnata e, come un automa, proseguivo imperterrita verso la mia destinazione, incurante di tutto quello che mi circondava. Sento la voce di una ragazza – sembra giovane – che telefona al fidanzato e gli racconta i benefici della terapia, di come ora si senta meglio.
Qualche mattina dopo, sempre in macchina, sempre verso il lavoro, sento la stessa pubblicità. Una voce più matura, ma pur sempre femminile, chiama la madre: “Sai mamma, ora ho capito quanto hai fatto per me”. Le due pubblicità, così simili nel loro copione, sono pubblicità di un servizio di terapia online. E fin qui, nulla di strano. Anzi, fino a qualche anno fa mai ci saremmo sognati di sentire sponsorizzare sedute psicologiche. Un tabù che, oggi, si può dire sdoganato. E allora, cosa mi ha fatto storcere il naso? C’era qualcosa, in queste due pubblicità, che me le ha fatte immediatamente associare e che mi ha fatto pensare “qui c’è qualcosa che non va”.
In entrambe, la protagonista è una donna. Sarà un caso, magari quei due giorni che distrattamente non avevo cambiato stazione hanno mandato in onda proprio i due spot nei quali c’è una paziente femminile, magari l’azienda ne ha anche altri e io non li ho mai sentiti (spoiler: ho cercato su internet e non ne ho trovati. Ma, appunto, potrebbero essermi sfuggiti). Il punto è che in quelle due pubblicità che ho sentito, la voce era quella di una donna (o comunque di una persona socialmente riconosciuta come tale). E quindi mi sono chiesta: perché? E la risposta che mi sono data, immediata, è che era ovvio che quello fosse il genere rappresentato: d’altronde si tratta di salute mentale. E si sa, la salute mentale è una cosa da donne.
Il tabù della salute mentale sta venendo abbattuto sì, ma da pioniere. La mascolinità – e con essa la nostra società – concede spazio alla salute mentale?
Un dato assodato è che gli uomini (o le persone socialmente riconosciute come tali) ricevono un numero minore di diagnosi rispetto alle donne e sono da sempre meno propensi a chiedere aiuto per questioni che riguardano il benessere psicologico. In un sondaggio del 2016 condotto da Opinion Leader per il Men’s Health Forum (ente inglese che promuove iniziative a favore di una presa di coscienza della tutela della salute psicologica maschile), la maggior parte degli uomini ha affermato di essere disposta a ritagliarsi del tempo libero dal lavoro per ottenere assistenza medica per sintomi di natura ‘organica’, come i dolori fisici, ma meno di uno su cinque ha affermato che avrebbe fatto lo stesso per problemi di natura psicologica come l’ansia (19%) o per problemi legati all’abbassamento dell’umore (15%).
Molto spesso gli uomini non richiedono di entrare in terapia perché trovano complicato ammettere a loro stessi di avere una difficoltà: la domanda sulle motivazioni che stanno dietro questo comportamento è quasi superflua.Non diciamo nulla di nuovo se ancora una volta – perché non ne avremo mai abbastanza – parliamo di come il ruolo maschile tradizionale abbia imposto agli uomini di essere insensibili ai propri sentimenti o alle preoccupazioni. Gli uomini non piangono, sono forti, ce la fanno, e il peso degli stereotipi di genere grava, inesorabilmente, sulla salute mentale della popolazione maschile. Basti pensare al teatrino appena visto in un noto (notissimo) programma televisivo, quando uno dei protagonisti ha rimbrottato all’altro in diretta nazionale, con una certa ironia e, perché no, spregio (nonostante le rettifiche arrivate nei giorni successivi, puntuali come il mio commercialista quando invia la fattura), che fosse “troppo depresso”?
Il genere maschile di privilegi ne ha avuti nel corso della storia dell’umanità, ma non quello di poter liberamente parlare dei propri vissuti psicologici. E così finisce per mascherare, celare, tacere il proprio malessere, che diventa un peso spesso insostenibile. Non è un caso che in Italia il 78,8% dei morti per suicidio siano uomini o che siano sempre loro i maggiori consumatori di alcol, con un’incidenza quasi doppia rispetto alla popolazione femminile. La cultura machista impone un concetto di mascolinità tossica, all’interno del quale il ruolo di genere maschile appare virile, forte, coraggioso, razionale. Le difficoltà psicologiche vengono percepite come cose ‘da femmine’ e gli uomini si auto stigmatizzano sempre più: da un lato il disagio psichico è percepito come una debolezza (auto convinzione), mentre dall’altro la fragilità viene considerata una prerogativa femminile (stereotipo di genere), dunque gli uomini faranno doppiamente fatica ad ammettere – e concedersi – di non stare bene.
Il Movember è un movimento globale nato in Australia vent’anni fa e che, neanche a dirlo, non è poi così conosciuto. Si svolge ogni novembre – sì, con Black Friday e compagnia – con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi proprio per la salute maschile, in particolare per la prevenzione e la ricerca del cancro alla prostata, del cancro ai testicoli e per (udite udite) la promozione della salute mentale degli uomini. Il Movember si impegna anche a sfatare i tabù legati alla salute maschile e a promuovere un dialogo aperto su questioni come la depressione, l’ansia e il benessere emotivo. Questioni che, come evidenzia la cronaca – anche televisiva – degli ultimi tempi, sono più vive che mai.
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