Non è che possa dire di avere un genere musicale preferito, ma sicuramente mi piace la musica folk. Sì, esatto, folk. Lo so, è una cosa un po' bizzarra, ma tant’è, mi piace, così come mi piacciono i The Lumineers che, appunto, del folk hanno fatto il loro marchio distintivo. Ancora mi struggo, se penso al concerto che si sarebbe dovuto tenere all’Arena di Verona lo scorso luglio e che, invece, è saltato (grazie Covid).
Delle canzoni, tendenzialmente, apprezzo le parole più che la musica, anche se ci sono state, nel tempo, delle vistose eccezioni[1]. Certe volte, ho aggiunto playlist alla mia libreria di Spotify solo perché ammaliata dalla voce roca del cantante, certe altre ho ascoltato “Non sono una signora” di Loredana Bertè a tutto volume. Solitamente, preferisco le voci maschili a quelle femminili, dico di amare le canzoni malinconiche, ma poi piango con quelle allegre, e ho sempre avuto una memoria di ferro per i testi.
Perché questa introduzione? Perché oggi vi parlo di musica, dopotutto.
Chi mi conosce lo sa, ho vissuto quattro mesi in Germania. Ad Amburgo, precisamente, nel nord più nord che il paese dei crauti può offrire e, neanche a dirlo, mi sono innamorata di questa città. Il vento, scomodo e inopportuno come un controllore che ti viene a svegliare sul treno per controllare se stai truffando lo Stato oppure se sei un bravo cittadino, il sole che tramonta alle tre del pomeriggio, le porte della metro (U-Bahn e S-Bahn) che non si aprono se non premi il pulsante[2], Schanze: ma di tutto questo, parleremo in un altro momento.
In realtà, il mio amore per la Germania risale a molto tempo prima del mio Erasmus ad Amburgo. Alle superiori ho studiato il tedesco per cinque anni, spinta dai miei genitori che mi hanno sempre detto che il tedesco è una lingua importante, che lo avrei usato per il lavoro -insomma, le solite cose che ti dicono i genitori per convincerti che una roba in realtà indifferente sarà utile per il tuo futuro.
Dato che ho studiato giurisprudenza in Italia, non so se questa cosa del tedesco, alla fine, mi abbia cambiato così tanto la vita, ma certamente mi ha fatto avere sempre un occhio di riguardo per la Merkel, i Bratwurst e compagnia. Quindi ho scelto Amburgo come meta del mio Erasmus, e nel settembre 2018 ho lasciato Milano e preso un volo Ryanair che mi ha portata nella seconda città più popolosa della Germania[3].
Grazie ai miei genitori, ho visitato spesso la Germania. Più quella del sud, a dir la verità. Quella settentrionale, vuoi per la distanza, vuoi per il freddo -che mia madre mal sopporta- l’ho scoperta solo durante l’Erasmus.
A Berlino ci sono stata due volte. La visita più recente è stata propria durante l’Erasmus, e più in particolare durante il ventiduesimo compleanno della mia amica spagnola, Rebeca. Vi lascio immaginare il clima di festa e di spensieratezza che un compleanno durante i mesi di Erasmus può portare, e che questa seconda volta -e proprio per questo, oserei dire- mi ha fatto vivere la capitale tedesca con più indulgenza.
Questo perché Berlino è la città meno tedesca che esista, e forse, di questo, ne parleremo meglio un’altra volta. E io, che un po' mi sento una cittadina del nord della Germania, Berlino la trovo mondana, spigolosa, che strizza un po' l’occhio alle città americane. La Germania, nonostante sia vista dai più come una terra fredda e inospitale, a me ricorda sempre una sensazione di tepore alle mani e al naso, mi fa pensare alle case in mattoni scuri e alle poltrone delle metro in tessuto, caratteristiche che nella capitale tedesca, invece, non ho mai ritrovato.
Berlino non mi è mai piaciuta, e per buona pace dei berlinesi, mai mi piacerà[4]. Nonostante questo, nell’ottobre del 2018 mi ha fatto vivere tre giorni in una bolla, un Erasmus dentro al mio Erasmus. Ricordo che faceva un freddo cane[5], e che durante quel freddo ho fatto una fila interminabile per un locale nel quale, alla fine, non sono nemmeno entrata, complici il mio ragazzo dell’epoca -australiano- che non amava le discoteche e i venticinque/trenta euro di biglietto d’ingresso che, sinceramente, preferivo spendere per qualche altro calice di vino scadente e per il taxi di ritorno. E poi, diciamocelo chiaro, ma che ci entravo a fare in quel locale dove ballavano solo lei, la regina delle feste in Germania: la TECHNO.
Durante i mesi di Erasmus ho capito una cosa: che i tedeschi non sanno ballare, e che se vuoi ballare in Germania, devi ballare la techno. Devo dire che ballarla non è stato poi un così grande sacrificio per me, dato che passavo la metà delle mie serate in compagnia di persone teutoniche, per niente avvezze alla sacra arte della danza, tanto da farmi sembrare, a confronto, Eleonora Abbagnato. E poi, alla fine, mi sono così tanto abituata a sentirla che, sotto sotto, aveva cominciato a piacermi. Certo, ora a Milano non la ballerei mai, ma che ci vuoi fare: una delle mie serate più memorabili in Germania è stata in un centro sociale ad Amburgo, con la techno a palla e io e la mia coinquilina che per caso ci ritroviamo a parlare con un ragazzo napoletano che non ci voleva più lasciar tornare a casa (ma anche questa è un’altra storia, che sicuramente merita di essere raccontata).
Il fenomeno della musica techno esplode a Berlino circa trent’anni fa, negli anni Ottanta, e più precisamente a Berlino Ovest, dove venne fondato l’UFO, celebre locale illegale situato in una cantina di Kreuzberg, dai pionieri della musica techno berlinese. Felix Denk e Sven Von Thulen sono due DJ tedeschi che una decina di anni fa hanno pubblicato un libro, “Der Klange Familie”, dove parlano del fenomeno tedesco della musica techno. Nel libro, ad un certo punto, dicono che “La musica techno divenne la colonna sonora della riunificazione di Berlino per tre ragioni: l’energia cinetica dei suoi suoni, la magia dei posti in cui veniva suonata e la promessa di libertà che conteneva.”
Oggi, la capitale tedesca è anche la capitale europea della musica techno-elettronica. Qui, le etichette discografiche fanno a gara per accaparrarsi le serate e i DJ migliori. I club sono tantissimi: il Berghain, solo per citare il più famoso, dove la selezione all’ingresso è ai limiti dell’assurdo e dove un australiano del mio gruppetto, durante quei famosi tre giorni a Berlino, è stato rifiutato per ben due volte, il Tresor, il Sisyphos e il Watergate (quello da dove ho deciso di scappare insieme al mio ex ragazzo).
Ma la techno non si suona solo a Berlino: a parte in qualche club di dubbio gusto sulla Reeperbahn, dove io e le mie amiche siamo riuscite ad entrare gratis ad un paio di serate latino-americane, anche ad Amburgo ricordo solo sonorità elettroniche e tizi che ballavano muovendo solo il collo. Una noia, se ci ripenso ora.
Amore e odio, dunque: amore per dei suoni che mi riportano alla mente un periodo magico e, perché no, provvidenziale, e odio per una musica che, sinceramente non credo ascolterò mai più nella mia vita.
È stato comunque bello ricordarti, cara techno, almeno per cinque minuti. Un giorno, chissà, tornerò a Berlino e mi metterò di nuovo in fila per il Watergate e forse, proprio come l’altra volta, mi passerà la voglia di entrare. Oppure azzeccherò così tanto il dress code, che i buttafuori non mi faranno nemmeno pagare (ahimè, lo dubito, dato che non ho ancora capito cosa ci si debba mettere per andare a ballare techno). In ogni caso, grazie per avermi fatto passare alcune delle serate migliori della mia vita.
[1] Mi vergogno di queste eccezioni, tanto da scriverle solo in nota. Avete mai ascoltato “Giovane fuoriclasse” di Capo Plaza, per esempio? Un vero capolavoro musicale. [2] E che mi sono costate una miriade di fermate perse, io povera milanese abituata al freddo gelido che penetra nelle carrozze della metro ad ogni fermata. [3] Lo so che vi state stupendo tutti quanti: Amburgo seconda città della Germania? Ma che, davvero? Ebbene sì, cari miei: non è Monaco, non è Francoforte, non è Stoccarda, ma la nostra città portuale ad aggiudicarsi questo premio. Con 1.833.930 abitanti, Amburgo è seconda solo a Berlino. [4] Mi correggo, perché non si può mai essere sicuri nella vita. Diciamo che al 90% sono sicura che mai mi piacerà. [5] Scusate per l’espressione poco aggraziata, ma davvero, non ho mai provato così tanto freddo come quell’anno a Berlino.
Comments