C’è una parte di Amburgo che accompagna la zona selvaggia del porto a quella più scintillante e frenetica della Jungfernstieg. Dimessa, quasi timida, Landungsbrücken non dorme mai, ma non per i bagordi della Reeperbahn, quanto per il lavoro – antico, sacro, vichingo – del porto.
C’è chi le odia, le trova orrende, quasi volgari; e c’è chi, invece, si rispecchia nelle città portuali.
Amburgo, Rotterdam, Genova, Anversa, Valencia, Atene con il suo Pireo, sono città ventose, malinconiche, di infinite attese. Sono laboriose come le braccia dei marinai che ogni giorno scaricano merci dalle loro navi, ma sanno essere anche dolci, come le sere che si abbattono placide o burrascose – col benestare delle maree - sulle prue delle navi.
Landungsbrücken è la zona di Amburgo che – sebbene non sia per nulla turistica (perché, poi, Amburgo è una città turistica?) – mi fa sentire più a casa.
La struttura di tufo, con le due cupole verdi, tra Niederhafen, Reeperbahn e Fischmarkt, costruita tra il 1907 e 1909, corrosa dal sale del mare, un tempo fungeva da pontile per i piroscafi, mentre ora ospita le fermate della S-Bahn e della U-Bahn.
La vista sull’Elbe è la migliore che potete trovare ad Amburgo. Da qui partono numerose imbarcazioni per i tour del porto. Qui ho fatto la mia prima cena ad Amburgo, a base di Schnietzel e patatine, in quel settembre del 2018 particolarmente tiepido.
Lungo Landungsbrücken ci sono alcuni negozietti di souvenir, totalmente fuori luogo se si pensa che è una zona frequentata solo da locali (anche perché, ripeto, turisti ad Amburgo non ce ne sono, o comunque ce ne sono pochi), ristoranti da poche pretese e nulla più.
Di solito, parto dal Fischmarkt a St. Pauli e arrivo a Speicherstadt e HafenCity. Dall’antico al moderno in una ventina di minuti.
Fra l’altro, l’ultima volta che sono stata ad Amburgo ho scoperto che proprio ad Hafen City c’è una fermata della U-Bahn che mai avevo visto durante i mesi in cui ho vissuto lì. Si chiama “Überseequartier” che significa, letteralmente, oltreoceano. Una stazione che ricorda la metropolitana di Napoli, azzurra e marina, scintillante come le vetrate dei palazzi di Hafen City e come l’Elbphilarmonie, che con le sue linee prima ondulate, poi quadrate, fa venire il mal di mare a noi nani che la fissiamo, col naso all’insù.
Mi piace pensare che Landungsbrücken sia una parte di Amburgo difficile da afferrare. Io stessa ci ho messo un po' di tempo a capire quanto mi fossi affezionata a quel pontile scivoloso e salmastro. Sono dovuta tornare più volte, a diverse ore del giorno, nel fine settimana e al tramonto, in vacanza e prima che sorgesse il sole, prima di accorgermi che quei pochi chilometri di porto avevano finito per identificare una città molto più grande di loro ma che, alla fine, tornava sempre lì: ai container rossi, all’odore di pesce fritto, al riflesso accecante del sole sulle vetrate della filarmonica.
“Hier riechen die Gutsbesitzer zum ersten Mal den “Duft der großen Welt“: qui, gli abitanti di Amburgo hanno avuto il primo sentore del “profumo del grande mondo”, quello che attraversa le rotte commerciali d’Europa e giunge al porto della città anseatica, quello che hanno sperimentato i tedeschi che nel Novecento sono salpati alla scoperta del Nuovo Mondo. “Hamburg wäre nicht Hamburg ohne die Landungsbrücken”: prendete una guida qualsiasi della città tedesca, e lo troverete scritto. Amburgo non sarebbe Amburgo senza Landungsbrücken.
Comments