Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di "Tra i Leoni - Bocconi University Newspaper", anno 22, numero 87, aprile 2019. Lo trovate al seguente link: https://drive.google.com/file/d/1wJfMajWx5pgTwPJI-ZfvbFKlobhCfMGA/view
Martedì 26 marzo 2019 il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva (348 voti a favore, 274 contrari e 36 astenuti) la direttiva sul copyright (più specificatamente, sul diritto d’autore nel mercato unico digitale). Dopo più di tre anni di contrattazioni e numerose modifiche, ora il testo necessita solo di un ultimo passaggio – quello formale del Consiglio- e della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Negli ultimi mesi la direttiva –che a luglio era già stata votata e bocciata– aveva ricevuto numerose
critiche, rivolte principalmente all’eccessiva ambiguità degli articoli e alimentate dalla paura che la
stessa potesse essere rischiosa per la libera circolazione delle informazioni online. Con il
respingimento di luglio, la maggioranza dei parlamentari aveva chiesto di poter ridiscutere gli
articoli più controversi, e a fine marzo ne è stata approvata una nuova versione, modificata.
Ma perché una direttiva sul copyright? Pensata allo scopo di aggiornare le regole sul diritto d’autore nell’Unione Europea ferme al 2001, quando le cose su Internet funzionavano diversamente e le grandi piattaforme non avevano ancora acquistato un ruolo fondamentale all’interno del mondo dell’informazione, il Parlamento ha iniziato a lavorarvi nel 2016.
La direttiva ha il pregio di armonizzare le leggi sul copyright nei singoli stati attraverso la realizzazione di basi comuni più chiare. Alcuni articoli della direttiva sono però ritenuti troppo vaghi, e con loro viene avvertito il pericolo dell’eccessiva libertà di interpretazione da parte degli stati membri, libertà che potrebbe rendere difficile il processo di armonizzazione.
Sicuramente ci sono in gioco gli interessi di più parti: giornali, case editrici, case discografiche, ma anche piattaforme come Google e Facebook sono profondamente coinvolte da questa direttiva.
Due gli articoli discussi: il 15 ed il 17. I giornali rientrano nel primo di questi due articoli, principalmente per quanto concerne l’utilizzo di estratti o combinazioni di parole (snippet in termini tecnici) tratte da articoli da parte di aggregatori di notizie come Google News. La direttiva aveva tra gli obbiettivi quello di imporre a chi utilizza snippet di pagare i detentori dei diritti. Riportare anche una breve frase dell’articolo, oppure solo il titolo o parte di esso, farà quindi scattare il pagamento del diritto. La decisione riguardante i criteri di individuazione dello snippet – ad esempio, la lunghezza dell’estratto- spetterà al governo italiano, decisione che avrà un impatto molto importante su come aggregatori di notizie opereranno nel nostro paese. La versione finale della direttiva, però, risulta decisamente ammorbidita: per “singole parole” ed “estratti molto brevi” non ci sarà bisogno di pattuire alcun compenso. Ma cosa s’intenda con la definizione estremamente vaga di “estratti molto brevi”, questo è ancora da chiarire.
L’articolo 17, invece, rende le piattaforme responsabili di quanto viene caricato online. Per responsabilità si intende responsabilità ex-ante, e cioè che la piattaforma è responsabile quando il contenuto illecito viene caricato su di essa, come semplice conseguenza del caricamento da parte di un terzo. L’attuale regime di responsabilità prevede invece il contrario, cioè una rimozione del contenuto illecito attuata ex-post. Questo articolo si rivolge ad aziende quali Youtube o Facebook (esentando le piccole imprese fino a 10 milioni di euro, le enciclopedie online e altri casi marginali), per le quali si tratterà di un cambiamento di regime fondamentale: la piattaforma dovrà infatti “intercettare” i contenuti illeciti già al momento del caricamento, attraverso l’adozione di filtri di riconoscimento dei contenuti, pur non espressamente menzionati dallo stesso articolo. È evidente però che non esistano tecnologie efficaci diverse dai filtri per assicurare un effetto di questo tipo. Vale la pena di sottolineare come l’industria europea non disponga di sofisticate tecnologie di filtraggio, a differenza delle piattaforme americane: pertanto, si andrà a creare un mercato delle tecnologie di filtraggio dominato, in particolare, dalle stesse aziende contro le quali la direttiva è stata adottata.
In conclusione, la fase di trasposizione della direttiva in norma nazionale dovrà certamente tenere conto di tutte queste problematiche. L’opera di trasposizione da parte del governo italiano potrebbe dare luogo a scelte discrezionali e creative, ben lontane dalla pedissequa riproduzione delle norme europee.
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