Quando si parla di criminologia moderna, è semplice fare riferimento a Cesare Lombroso. Si tratta di un personaggio molto controverso che, nonostante sia considerato come il fondatore dell’antropologia criminale, nel corso della sua carriera ha ricevuto moltissime critiche.
Vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900, Cesare Lombroso è stato un medico, un sociologo, ma anche un filosofo, un antropologo e un giurista. Viene considerato come il padre della criminologia moderna (la quale assume in qualche caso come “atto di nascita” la pubblicazione, nel 1876, della sua famosa opera L’uomo delinquente) ed è stato anche il più noto esponente del Positivismo.
Il contesto storico-scientifico nel quale la teoria lombrosiana -perfettamente enucleata ne L’uomo delinquente- va a inserirsi è rappresentato dalla dottrina evoluzionistica di Charles Darwin e dalla conseguente rivoluzione biologica determinata dalla pubblicazione delle sue opere. Darwin sostenne la teoria della selezione naturale come forza evolutiva fondamentale affiancata da meccanismi di trasmissione dei caratteri acquisiti; egli ammetteva che il genere umano possedeva, come risultato del processo evolutivo, un certo numero di istinti brutali ed egoistici, risultato di un’ereditarietà di impulsi animaleschi anacronistici spesso in contrasto con le esigenze della vita sociale. In questo contesto scientifico si inseriva la teoria lombrosiana del “criminale nato”, una revivificazione dell’uomo primitivo con caratteristiche biologiche ataviche (che fanno cioè riferimento a tratti somatici e psichici presenti negli antenati). Lombroso ritrovava l’atavismo nelle categorie dei ceti popolari, dei contadini, dei briganti e dei soldati, e considerava i delinquenti atavici come selvaggi in mezzo alla fiorente civiltà europea.
Lombroso, partendo dallo studio delle anomalie del cranio di un brigante, elaborò la sua teoria secondo la quale le manifestazioni anomale della condotta umana sono originate non da atti di volontà ma da vizi della struttura organica, riscontrabili nei pazzi ed ancor più nei criminali. Ne L’uomo delinquente egli affermò che improvvisamente una mattina nel teschio di un brigante trovai numerose anomalie ataviche…analoghe a quelle che si riscontrano negli invertebrati inferiori. Di fronte a queste strane anomalie mi sono reso conto che il problema della natura e origine dei criminali era risolto. Questi vizi vennero misurati dallo studioso attraverso gli strumenti dell’epoca, quindi il goniometro e il craniometro a compasso. La teoria lombrosiana, quindi, era una teoria saldamente ancorata ai fattori biologici, tanto da essere definita come “biodeterminismo lombrosiano”.
Nel 1896 venne pubblicata l’ultima edizione de L’uomo delinquente, nella quale Lombroso arrivò a distinguere tra cinque tipi di delinquenti: il delinquente pazzo (identificato nelle figure del delinquente alcolista, del delinquente isterico e delinquente mattoide); il pazzo morale o delinquente nato); il delinquente epilettico; il delinquente d’impeto o di passione e il delinquente occasionale (definito anche pseudo-criminale). Inoltre, egli si occupò di definire la cultura, il comportamento, le usanze, l’instabilità, la violenza delle passioni e la totale assenza di rimorso dell’uomo delinquente.
Come già ricordato, Lombroso è stato uno dei più conosciuti e influenti esponenti del Positivismo. Ha dato vita al positivismo antropologico, interessandosi alle cause del crimine e facendosi portatore della teoria che una persona delinqua perché presenta determinate caratteristiche biologiche, e più precisamente una lesione del lobo frontale, che dovrebbe fungere da inibitore di istinti aggressivi. Nelle cause del crimine si localizza quindi un evento che, proprio in quanto determinante, non può che coinvolgere nella sua interezza la persona del criminale, classificato come un diverso rispetto agli appartenenti al corpo sociale, come un malato. Egli deve essere isolato dal resto del corpo sociale. La genesi del crimine non è il frutto di una scelta razionale dell’uomo, ma di una serie di elementi che determinano il soggetto al crimine. L’idea è che delinquenti si nasca, e che perciò il crimine non si possa considerare una scelta, bensì un destino. Per questo motivo, se il soggetto non sceglie razionalmente di commettere il crimine, ciò di cui necessita non è una sanzione che lo punisca, ma di una risposta dell’ordinamento che lo consideri come se fosse un malato, curandolo e neutralizzando in questo modo il suo potenziale di pericolosità nei confronti della società. È evidente che la sanzione, considerata in questi termini, finisca per essere potenzialmente illimitata. Le misure adottate nei confronti del reo, infatti, non erano dettate dalla natura e dalla gravità dell’atto compiuto, ma dal di lui potenziale aggressivo individuale, e di conseguenza dalla probabilità di recidiva.
Il contributo di Lombroso non si arrestò al XIX secolo. Le sue teorie contribuirono allo sviluppo di idee e correnti, tanto che negli anni ’70 del secolo scorso si assistette alla fondazione della Società delle Neuroscienze, un’associazione di scienziati professionisti (neuroscienziati) che studiano la struttura e il funzionamento del sistema nervoso, e più precisamente le connessioni neuronali dei comportamenti umani. Le Neuroscienze accedono al processo come prove scientifiche richieste dalla difesa, in quanto, se danno risultati positivi, vanno a scemare la capacità di intendere e di volere del soggetto e quindi a diminuire la pena. Attualmente si distinguono differenti livelli di interesse delle neuroscienze: molecolari, cellulari, dei sistemi, del comportamento, cognitive. I numerosi passi avanti compiuti sia nel campo della microscopia ché in quello della diagnostica per immagini hanno permesso di raggiungere in quest’ultimo secolo una visione più organica, pur se non sufficientemente esaustiva, della struttura e delle funzioni de sistema nervoso. I numerosi studi compiuti nel corso degli ultimi secoli hanno chiarito l’anatomia e l’organizzazione del sistema nervoso e la correlazione fra alterazioni anatomiche (macro o microscopiche) o funzionali e patologie neurologiche. Le nuove tecniche di diagnostica per immagini, la Tomografia Computerizzata (TC), la Risonanza Magnetica (RM), la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), hanno rivoluzionato lo studio in vivo dell’anatomia regionale. Altrettanto si può dire dell’Elettroencefalogramma (EEG) e dello studio dei Potenziali Evocati (PE) che forniscono informazioni dettagliate relative alla funzionalità elettrica di vaste e numerose strutture neuronali. Purtroppo la comprensione delle basi neuronali dell’esperienza emotiva è ancora molto limitata. Uno dei primi studi mai condotti sull’influenza del cervello sulle emozioni fu il risultato di un incidente industriale accaduto nel 1848 nel Vermont, in un cantiere per la costruzione di una ferrovia, incidente che ebbe come vittima il capocantiere Phineas Gage. Una sbarra di ferro di un metro di lunghezza e di sei kg di peso andò a conficcarsi nel cranio di Gage, penetrando al di sotto dell’occhio sinistro e, dopo aver attraversato il lobo frontale sinistro la sbarra fuoriuscì dalla parte superiore della sua testa. Il proiettile distrusse una porzione di cranio e di lobo frontale sinistro. Gage sopravvisse, e venti anni dopo, guarito dalla lesione acuta, era tornato apparentemente normale, ma la sua personalità si era totalmente modificata in quanto, dopo l’incidente, era diventato irriverente, sregolato nel comportamento, volgare, intollerante, coprolalico, ostinato, capriccioso, esaltato, tanto da essere licenziato. Il suo cranio venne conservato presso la Harvard Medical School, e recentemente misurato e valutato nuovamente attraverso tecniche di neuroimmaging per valutare le lesioni del suo cervello: la sbarra aveva grandemente danneggiato la corteccia di ambedue gli emisferi, soprattutto il lobo frontale. Fu questa lesione che determinò la modifica del comportamento e della personalità dell’uomo, il quale era regredito fino a diventare come un bambino maleducato e capriccioso con una significativa amplificazione delle emozioni. Ciò indica che la corteccia cerebrale del lobo frontale ha un ruolo importante nella regolazione dell’espressività emozionale.
Le Neuroscienze si pongono proprio come la disciplina che tende a riportare la malattia mentale nell’alveo della neurologia, sostenendo che, se non tutte almeno in parte, le malattie mentali dipendono da un’alterata funzione cerebrale che finisce per coinvolgere l’umore, le emozioni, il pensiero, il comportamento. Sul piano criminologico, tutte queste idee e teorie sembrano quindi suggerire una convergenza degli interessi della ricerca sui fattori bio-sociali che causano la criminalità e sul trattamento dei delinquenti. Nel campo della diagnosi criminologica i progressi scientifici, lo sviluppo dei contributi teorico-filosofici, l’evoluzione delle conoscenze in psicologia sperimentale, l’ampliarsi del campo della genetica e della biologia molecolare, i progressi tecnologici sono tutti elementi che potranno migliorare le possibilità di una corretta diagnosi e, in alcuni casi, il trattamento dei disturbi di personalità che potrebbero altrimenti condurre a condotte antisociali. Inoltre, le pronunce della giurisprudenza, negli ultimi anni, stanno assorbendo queste novità scientifiche e tecnologiche. La Corte di Cassazione, in una famosa sentenza del 2005, ha ritenuto che anche i disturbi di personalità possano influire sulla capacità di intendere e di volere del soggetto agente. La Corte d’Assise d’Appello di Trieste e il Tribunale di Como, con due celebri pronunce del 2009 e del 2011, sono andate oltre riconoscendo agli imputati il “vizio parziale di mente” basandosi su perizie psichiatriche realizzate anche con l’apporto delle neuroscienze cognitive e della genetica comportamentale. Come queste sentenze dimostrano, un approccio concreto delle neuroscienze cognitive non può che rivelarsi un ottimo ausilio per tanti problemi che possono presentarsi nelle aule giudiziarie.
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